“Gentiluomini si diventa”, questo il tema sull’invito della serata organizzata dal brand Brooks Brothers per celebrare l’eleganza maschile. E, in una fredda sera di fine novembre, all’interno dello store nel cuore di Milano, il gentleman della serata, Giovanni Gastel, ha raccontato a Mood cosa rappresenti per lui la passione della sua vita, la fotografia. Quell’emozione che scaturisce pigiando un bottoncino seguito dall’inconfondibile click. Gastel è uno dei (pochi) fotografi italiani conosciuti in tutto il mondo, da 40 anni i suoi scatti rappresentano i cambiamenti della società attraverso immagini di uomini e donne fuori dall’ordinario: modelle, attrici, cantanti. Qualcosa in più di un lavoro. Qualcosa che, confida, ha portato a fare tesoro della gavetta. E ha regalato il tesoro di poter tramandare i propri insegnamenti ai più giovani.
La sua carriera è iniziata come fotografo di matrimoni per poi dedicarsi agli scatti still-life fino a diventare affermato nella moda. Che consigli direbbe a chi oggi volesse iniziare con questo lavoro?
Ancora oggi, lo still-life è molto richiesto perché ha dei costi di produzione bassi, sei tu, un paio di scarpe, la macchina fotografica e basta. Con la moda, invece, sono presenti truccatori, parrucchiere, modelle… Io ho iniziato facendo di tutto, anche qualche matrimonio, perché mio padre mi tagliò i fondi e quindi dovetti fare qualunque cosa, ma ho sempre amato profondamente gli still-life. In fondo, da dove si comincia non ha molta importanza, è invece importante avere una visione delle cose diversa dagli altri.
Cosa ne pensa dei pensa dei social network, Instagram ci ha resi tutti fotografi?
Instagram va benissimo! È successa una cosa importante: l’elettronica applicata alla fotografia ha reso la fotografia un linguaggio. Chiunque possieda uno smartphone ha una macchina fotografica in tasca. Lo dico da presidente dell’Afip (Associazione Fotografi Italiani Professionisti): per me è un’enorme vittoria. Tutto il mondo usa la fotografia per comunicare ed è una comunicazione transnazionale che non ha bisogno di vocabolari, questo è magnifico. Certo ci sono differenze sostanziali. Ad esempio, la parola è un media importante, può essere usata per scrivere “Il gattopardo”, ma anche per appuntare la lista della spesa: non è che per difendere Tomasi di Lampedusa non dobbiamo più insegnare a scrivere ai bambini. Lo stesso vale per la fotografia. Sono felice venga usata come mezzo di comunicazione. La parte artistica resta invece terreno di gioco dei creativi di alto livello.
Avendo lavorato in tante redazioni, le sembra cambiata l’editoria negli ultimi trent’anni? Come?
C’è un’evoluzione nella comunicazione moda parallela a quella della società. Quello che i giovani fotografi capiscono poco è che ogni rivista, ogni cliente, ha una sua filosofia interna. Non basta saper fare un determinato tipo di belle fotografie, bisogna adattare la propria creatività alla testata. Io ho lavorato con Cristina Lucchini per Vogue Gioiello, poi per Vanity Fair, Amica e Glamour. E parliamo di fotografie completamente diverse. Bisogna evolvere la propria fotografia restando degli autori, ma senza dimenticare le prerogative del committente. Questa capacità rende grande un fotografo.
Che differenza c’è nel lavorare con modelle di professione e con celebrity?
Io ho lavorato con modelle che erano anche celebrity, delle vere dive. Ho collaborato con Cindy, Naomi, Linda, tutte le più grandi. Fotografare le attrici non è stato molto diverso, bisogna sempre creare un contratto. I ritratti che faccio seguono la teoria per cui un autore dovrebbe reinventare il proprio mondo, vederlo in qualche modo diverso dagli altri. Bisogna carpire l’anima della persona che stai fotografando riuscendo a trascinarla nel tuo mondo più che seguirla nel suo.
di Marco Caruccio