A cinque anni dalla fondazione, avvenuta a Berlino nel 2017, il player di co-living Habyt, ha in gestione 8.500 strutture distribuite in dieci Paesi nel mondo, tra Europa e Asia-Pacific, e apre circa 30mila metri quadrati di co-living nuovi ogni trimestre, circa mille stanze. Ha un fatturato 2021 di 36 milioni di euro, prevede di raggiungere i 100 milioni quest’anno, con l’obiettivo di arrivare a 300 milioni nel 2023. Questi i numeri di una realtà nata con l’idea di creare un consumer brand focalizzato su valori come il digitale e la community nel mondo del residenziale, “un network simile a quelli che già esistono nell’hotellerie”, esordisce Luca Bovone, CEO di Habyt dal palco di Palazzo Mezzanotte in occasione dell’8° Pambianco – Interni Design Summit.
Si tratta di palazzine residenziali con spazi privati, solitamente singole stanze, per i nostri membri e degli spazi in condivisione, destinati anche al co-working, collocati alla base dei building oppure all’ultimo piano. Una proposta premium rivolta ai giovani professionisti che ad oggi rappresentano il 90% dei clienti di Habyt, solo il 10% invece è rappresentato da studenti, comunque di età superiore ai 25 anni. “Circa il 70% dei nostri clienti proviene da Paesi diversi rispetto a quello in cui cerca uno spazio di co-living”, spiega l’imprenditore. La permanenza media è di otto mesi, per ragioni di destinazione d’uso dei palazzi Habyt richiede una permanenza minima di tre mesi.
L’obiettivo, ora, è di permettere al cliente di spostarsi liberamente tra strutture anche in Paesi diversi, prenotando semplicemente online periodi e location: ad esempio, in caso di necessità di trasferte temporanee per poi tornare alla location iniziale. “La procedura contrattuale si snellisce grazie alla digitalizzazione”, chiosa Bovone.
L’ingresso di Habyt in nuove geografie avviene tramite l’acquisizione di piattaforme locali simili. Tra i nuovi mercati sui quali sta spingendo ci sono quelli asiatici dove la società è presente a Singapore, Hong Kong e Tokyo.
“Non lavoriamo con società B2B – prosegue il CEO -, non vogliamo destinare interi palazzi solamente a un tipo di cliente perché la community diventerebbe un corporate housing. Diamo, però, i nostri riferimenti ai dipartimenti Risorse Umane delle società, al fine di portare a loro volta i loro clienti verso nostra piattaforma”.
In Italia, che pesa sul fatturato per il 15-20% al secondo posto dopo la Germania, Habyt è presente a Milano con mille stanze, circa venti building; è al lavoro su un progetto a Torino da circa 350 unità e guarda ad altre città, come Modena e Bologna. “Il mercato è in espansione – afferma Bovone – la GenZ, il nuovo tipo di cliente, ha la necessità di spazi completamente diversi rispetto al passato. C’è una grande possibilità di trasformare lo stock residenziale esistente e gli sviluppi immobiliari nuovi nel nostro concetto”.
A fronte dell’ingente volume di palazzi e della velocità di esecuzione, Habyt ha cercato, per l’arredo degli interni, partner scalabili, come Ikea. Sono stati inseriti anche prodotti white label fatti realizzare nell’est Europa. “Lavoriamo anche con alcuni prodotti italiani, ad esempio nell’illuminazione dei nostri palazzi – aggiunge il manager – ma non abbiamo ancora creato delle partnership solide, anche per questioni di prezzo“. Il CEO non esclude, però, l’apertura verso collaborazioni con brand italiani.
In futuro, Habyt, i cui investitori sono principalmente finanziari di venture capital e che punta alla quotazione in Borsa, ispirandosi al modello Marriott, prevede il lancio di nuovi brand o sub-brand sia a livello geografico sia di premiumness. “Stiamo valutando anche location più remote, in campagna o in località marittime – conclude – è il cliente a richiedercelo. E oggi contiamo oltre 15mila clienti”.